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Parah parah

Devi assumerti la responsabilità di te stessa, della tua vita e della tua salute.

Mi chiamo Caro. Alcuni amici mi chiamano “Lionsita”, probabilmente perché la mia criniera di leone sta così bene col mio segno zodiacale, perché le situazioni di stress mi portano a crescere e tiro fuori i denti, ma nella “vita normale” sono più rilassata, come una leonessa.

Mi chiamo Caro. Alcuni amici mi chiamano “Lionsita”, probabilmente perché la mia criniera di leone sta così bene col mio segno zodiacale, perché le situazioni di stress mi portano a crescere e tiro fuori i denti, ma nella “vita normale” sono più rilassata, come una leonessa.

Ne ho molte. Un uomo fantastico, tre figli meravigliosi, una madre impressionante, una grande famiglia, amici grandiosi e ho un cancro al seno con metastasi.

Il motivo per cui ti racconto tutto questo è perché spesso nelle situazioni di crisi ci vuole una spinta dall’esterno per riprendere la strada giusta all’interno.

Sono fortunata ad avere un ambiente sociale ben funzionante.

Tutti coloro che sono venuti a conoscenza della mia malattia hanno assunto ruoli. Si sono organizzati, hanno assunto compiti nelle aree più diverse e mi hanno aiutato a far fronte alla nuova situazione.

Dal momento che sono stata sostenuta così bene e nel frattempo ho costruito una vasta conoscenza e una rete, so quanto sia importante avere accesso a tutto ciò dal primo momento di una diagnosi di cancro.

Con il nostro progetto BE accepted ti permettiamo di farlo.

E affinché tu sappia chi sono, ti parlerò ancora un po’ più di me e anche del mio periodo successivo alla diagnosi di cancro. Mi piace ridere, amo vivere, sono curiosa e affamata di conoscenza. Mi piace viaggiare ed essere in movimento, ma mi piace anche la tranquillità. L’origine di ciò è nella mia infanzia.

Sono cresciuta tra le montagne della Stiria, circondata da boschi, natura e dall’hotel dei miei genitori. Sia la pace sia il trambusto erano presenti, a seconda di ciò di cui avevo voglia.

Noi ti mostriamo le possibilità.
Sei tu a scegliere cosa è giusto per te.

Mi piace guardare le cose da diverse prospettive. Il mio motto è “tutto o niente”, non conosco mezze misure. Come suggerisce il titolo, anch’io ho un debole per la saggezza sotto forma di detti. “Parah Parah”, è un proverbio israeliano e significa letteralmente “una mucca dopo l’altra”.

Soprattutto quando l’imprevisto si abbatte su di te, è importante concentrarsi su un passo alla volta. Per me il rimedio è dividere un grosso problema in molte piccole parti e poi affrontarle singolarmente. Questo approccio frammentario permette di non farci sovrastare dalla grandezza della sfida. Questo è ciò che faccio anche con la mia malattia. Stabilisco una priorità, mi concentro assolutamente su di essa, solo allora passo al punto successivo. Rivolgere l’attenzione su un argomento specifico mi ha anche ha reso più facile affrontare psicologicamente la mia malattia. Mi sono permessa di pensare a tutti i miei “cantieri” solo a partire dal momento in cui il peggio era stato superato.

A 27 anni mi è stato diagnosticato un “tumore al cervello”, due diversi. Sebbene questi due tumori non fossero classificati come maligni, le operazioni e ciò che veniva dopo erano tutt’altro che una passeggiata. All’improvviso la mia vita era completamente cambiata, non ero minimamente preparata. Mi stavo riprendendo un poco alla volta e la fase che sarebbe venuta dopo era indescrivibile. Era bella!

La mia vita era all’improvviso completamente diversa, non ero minimamente preparata.

Attraverso questa esperienza ho imparato molto e ho guadagnato forza interiore. Sono stata in grado di concentrarmi esclusivamente sull’essenziale. Ero arrivata a sentire il contatto con me stessa, ero me stessa e vivevo nell’adesso. La chiarezza assoluta era il sentimento prevalente, una profonda comprensione di ciò che costituisce la vita, ciò che conta davvero per me.

Tutto mi veniva facile, avevo lo stesso successo in tutti gli aspetti della mia vita. Vivevo molte giornate luminose e avevo la sensazione di aver compreso l’essenza della mia vita. Niente poteva turbarmi, nulla poteva impedirmi di essere me stessa.

Come si sarebbe scoperto in seguito, non era del tutto vero. Dopo circa 4 anni era sempre più difficile per me mantenere questa condizione. La vita di tutti i giorni, lo stress e le cose insignificanti avevano ripreso il sopravvento. A poco a poco questa leggerezza è venuta meno, ho lasciato me stessa. Ho smesso di fare una delle cose più importanti in assoluto: affidarmi alla mia intuizione. Ciononostante, riuscivo a funzionare.

Mio marito e io eravamo impegnati a costruire la nostra vita, a lavorare sulle nostre carriere, a far fronte alla vita di tutti i giorni, a prenderci cura dei nostri tre figli. Eravamo stanchi, stressati e lui era esausto. Inoltre, nella famiglia allargata stavamo affrontando una sfida che ci teneva nella sua morsa per un lungo periodo di tempo e ci aveva esposto a uno stress ben superiore alla media.

Sono sicura che tutte voi conoscete la sensazione di stress. Non avevo più il controllo della mia vita quotidiana. Una volta mi sono trovata “in flagrante”: al mattino mi ero preparata uno yogurt con frutta e un tè. Alle cinque del pomeriggio ho trovato entrambi, intatti, in cucina. Non avevo mangiato né bevuto per tutto il giorno. Era completamente assurdo essermi dimenticata di me stessa, dal momento che all’epoca non sapevo nulla del digiuno intermittente. Non mi prendevo più tempo per me. A essere onesti, all’epoca desideravo persino una via uscita, una pausa dalla mia vita. Volevo solo respirare profondamente.

Durante la terza gravidanza, il mal di schiena era un tormento costante, che non accennò a calmarsi nemmeno dopo il parto. Questo mal di schiena venne classificato “normale” per il terzo figlio. Anche dopo ripetuti controlli, la causa è stata attribuita al peso del bambino e ai “legamenti dell’utero”, dopo la nascita poi al costante sollevamento di carichi pesanti dovuti ai tre bambini.

Andavamo, come ogni anno, in vacanza al lago. È noto che succede sempre qualcosa non appena lo stress si attenua. Era poco prima del mio 39° compleanno, una giornata meravigliosa, con un clima pazzesco. Come ogni giorno facevamo sci d’acqua, una delle mie passioni, ma quel giorno sono caduta e a malapena riuscivo a tornare alla barca.

Tutto ciò che ancora mi ricordo è il dolore insopportabile e i tanti salvatori nella mia camera da letto.

Al molo ho avuto problemi ad alzarmi dalla sdraio. Un’infusione dopo, del colore di un daiquiri alla fragola, ero di nuovo in piena forma. Tre giorni dopo sono volata da sola con i miei figli per una settimana a Miami, dove avevo vissuto a vent’anni, e poi in Nicaragua per altre tre settimane. Volevo sfruttare al meglio la mia “ultima estate” senza lavoro, insieme ai miei tre ragazzi, e così è stato! Il nostro tempo insieme è stato perfetto. Quasi! Mio marito non c’era perché doveva lavorare. E poi c’era il mal di schiena, che non importava quanto cercassi di liberarmene.

Sul pontile ho avuto problemi ad alzarmi dalla sedia a sdraio. Un’infusione dopo, nel colore di un daiquiri alla fragola, mi aveva messo di nuovo in forma. Tre giorni dopo sono volata da sola con i miei figli per una settimana a Miami, dove avevo vissuto quando avevo vent’anni, poi per altre tre settimane in Nicaragua. Volevo godermi appieno la mia “ultima estate”, in cui non lavoravo, insieme ai miei tre ragazzi, e l’abbiamo fatto! Il nostro tempo insieme è stato meraviglioso. Quasi! Mio marito infatti non era potuto venire perché doveva lavorare. E poi c’era quel mal di schiena che non dava tregua, non importa quanto mi sforzassi di liberarmene.

Perché ora il mio seno vuole uccidermi?

Come è noto, ciò che è stato non può essere cambiato. A parte la promessa che ci si fa di non arrivare mai più a tanto, non ha molto senso pensarci. Possiamo infatti utilizzare meglio la nostra energia, soprattutto in caso di cancro.

Tornata a casa, dopo il viaggio il dolore divenne insopportabile, finché non decisi di fissare un appuntamento in ospedale tramite un amico medico, il dott. Matthias Brenner. Ma non andò più così. La mattina del nostro ottavo anniversario di matrimonio, il maledetto settimo anno era passato, il tonfo fu forte. Il rumore proveniva

dalla mia colonna vertebrale. Avevo appena allattato il mio bambino. La guardia medica ce la stava mettendo tutta per farmi alzare dal letto. Il dolore era indomabile, indipendentemente dal farmaco somministratomi.

Ciò che non mi fece sprofondare fu il contatto visivo con mio figlio di nove mesi, seduto nella sua culla rossa a guardare tutto. Era molto calmo e non mi perdette di vista per un secondo, come anch’io del resto. Era una situazione irreale, come se fossi allo stesso tempo osservatrice e attrice principale.

In ospedale il programma prevedeva l’esecuzione di vari esami. Il dr. Brenner ci mise tutto l’impegno possibile.

Ero sicura di essermi rotta la vertebra, cosa di certo non di poco conto.

La biopsia della vertebra lombare rivelò invece che, come hanno detto i medici, si trattava di un tumore “maligno e particolarmente aggressivo”, per cui dovevo effettuare una tomografia computerizzata per vedere da dove venisse.

“Cosa? Cosa intende con ‘da dove viene’?” Il panico ebbe la meglio.

Lui, il cancro, si era già diffuso a fondo. Era partito dal seno, attraversando le ossa, la linfa e fino al fegato. Come ulteriore compito, la biopsia mammaria rivelò che avevo due diversi tipi di cancro, era già mutato.

Non riuscivo a crederci: non si diceva che se si allatta al seno non si arriva ad avere un cancro al seno? Perché ora il mio seno vuole uccidermi? Era sempre stato qualcosa di assolutamente ovvio, mi piaceva. Simboleggiava la mia femminilità, lo associavo solo a cose belle. Come può essere?

In quel momento mi trovavo in un ospedale in cui sapevano molto di ortopedia, ma non avevano molta esperienza con i tumori. Mi fu detto che probabilmente non sarei arrivata al prossimo Natale. Eravamo a ottobre.

I miei unici pensieri furono: “Questo lo vedremo!” e in quel momento pensavo “e ora?”. Non avevo assolutamente intenzione di assumere su di me il ruolo di vittima.

Da me vennero un prete e una psicologa. Pregai entrambi di andarsene. Non si lasciarono sfuggire l’occasione di dirmi di nuovo che avevo qualcosa di “molto brutto”, domandandomi se fossi in grado di rendermene conto. Assicurai loro che non sarei saltata fuori dalla finestra, soprattutto perché il corpo non me lo permetteva, e che capivo perfettamente cosa stava succedendo. Chiesi loro nuovamente di andarsene, perché ora dovevo fare una telefonata e in realtà non avevo più tempo da perdere.

Chiamai immediatamente il nostro amico dottore Michael Fuchsjager, uno dei principali radiologi di carcinoma mammario in Austria. Una persona fantastica: mi ha preso per mano, ha accolto il primo shock e mi ha preparato ad affrontare i passi successivi.

Improvvisamente avevo la sensazione di essere in grado di attivarmi, di avere una possibilità, sapendo di essere in buone mani. Dopo avermi calmato il dottore mi mandò dal suo collega Georg Pfarl, il radiologo che eseguì la biopsia. Quando ebbe finito e mi comunicò lo stadio del mio cancro, mi disse una delle frasi chiave più importanti per me: “Quello che ti aspetta sarà un giro sulle montagne russe. Concentrati solo sulla fine del viaggio! Ad arrivare bene alla meta!”

È esattamente ciò che faccio da allora.

II primo oncologo che incontrai subito dopo la biopsia era tecnicamente molto competente e piuttosto simpatico, ma il mio shock era tale che la comunicazione tra noi fu pressoché impossibile. Tuttavia, sentivo che alla lunga io e lui non saremmo andati d’accordo. Se avessi dovuto quindi iniziare una relazione di lunga durata con un oncologo, almeno l’intesa avrebbe dovuto essere buona.

Quindi il dottor Fuchsjager mi ha indirizzato a un oncologo di grande esperienza che s’intende molto di comunicazione, il dottor Rupert Bartsch, che mi disse: “Ci sono buone notizie. Il tre percento dei pazienti che hanno lo stesso quadro clinico può essere completamente curato. Per gli altri, siamo in grado di ottenere una cronicizzazione per dieci, quindici anni. In un periodo così lungo, tante cose accadono nella ricerca sul cancro al seno”.

Gli dissi che quel 3% faceva al caso mio, che accettavo la sfida.

Quel momento, quasi cinque anni fa, fu il mio grande punto di svolta. All’improvviso percepivo la speranza, una possibilità. Ancor più, se il piano A non avesse funzionato, avrei avuto l’opportunità di sopravvivere il più a lungo possibile per finire in quel gruppo destinato a essere curato per i passi avanti della ricerca.

Le mie prospettive passarono quindi dal “probabilmente non arriverò a Natale” a possibilità concrete. La mia diagnosi non era cambiata, la mia prospettiva sì. Il mio oncologo avrebbe potuto dirmi che il 97% non aveva alcuna possibilità di sopravvivere a lungo. Posso supporre che ci avrei provato comunque, ma la motivazione alla base sarebbe stata completamente differente.

In quel momento presi una decisione consapevole. Mi godo appieno il tempo che ho. Vivrò il più a lungo possibile e nel miglior modo possibile. Decisi quindi di compiere tutto il possibile per farlo. Mi ripromisi di rendermi il difficile percorso che mi attendeva il più piacevole e buono possibile.

Oggi posso mostrarti come funziona. La differenza che fa è enorme.

Dissi al mio oncologo che c’era solo un’opzione per me e cioè quella di uscire bene dal giro sulle montagne russe. Così gli strappai la promessa di prendermi in considerazione per gli studi e in cambio gli promisi di fare tutto il possibile per mantenermi fisicamente e psicologicamente in forma, con l’obiettivo di poter ottenere il maggior numero possibile di terapie di MEDICINA TRADIZIONALE. Egli accettò e assunse la guida dell’équipe medica pronta a seguirmi. Ecco come è iniziato il nostro percorso comune in squadra.

Ti racconterò la mia storia sulla pagina web BE accepted.

Ciò di cui si ha bisogno all’inizio di una diagnosi di cancro è uno stimolo che faccia chiarezza possibile sul quadro generale:

informazioni solide, filtrate e riassunte che ci danno uno slancio in avanti, che consentono una panoramica più rapida. Una guida per poter prendere da soli la decisione di cui si ha bisogno. Nell’andare avanti ci vogliono poi ricordi costanti sul come rimanere sul pezzo, perché qui si tratta principalmente di darti un sostegno perché tu possa essere più forte del tuo destino.

BE accepted ti mette a disposizione tutto questo, unito alla mia esperienza.

Non possiamo influenzare ciò che ci accade, ma possiamo decidere come reagire.

Ci sono molti esperti che hanno un’enorme competenza nei rispettivi settori. Il quadro generale e le idee nascono sempre dallo scambio e dalla combinazione di conoscenze. Questo vale anche per la vita con il cancro.

Ero alla ricerca di un modo per rendere accessibile a tutti i pazienti questa conoscenza così come l’applicazione pratica, in modo economico e flessibile a livello di tempo. Be accepted lo permette!

Tuttavia, devi prima fare qualcosa per conto tuo: accettare la situazione, accettare la sfida. Dare a te stessa l’ok per la guarigione.

Devi assumerti la responsabilità di te stessa, della tua vita e della tua salute.

La parola sfida è tradotta in cinese con 2 caratteri:

  pericoloso e possibilità

BE accepted si concentra chiaramente sulle possibilità.

Con affetto e amicizia,

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